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CHRISTOPHER NOLAN a cura di Luca Malavasi: recensione

Il Professore di Storia del Cinema e cultura visuale, Luca Malavasi, edita una raccolta di saggi che indagano sei dei più famosi film del regista inglese Sir Christopher Edward Nolan, vincitore all'ultima edizione degli Oscar con Oppenheimer. Il libro è stato pubblicato per la casa editrice Marsilio e fa parte della Collana Elementi, incentrata sui capolavori di registi come David Lynch, Stanley Kubrick, Ingrid Bergman e gli italiani Bernardo Bertolucci e Matteo Garrone.



Trama



Memento di Pier Maria Bocchi: il saggio prende le mosse dalla raccolta di fantascienza di Ray Bradbury, The illustrated man del 1951, e ne confronta la trama con il lungometraggio di Nolan che lo ha fatto conoscere al grande pubblico, Memento, e con la trasposizione del 1969 diretta da Jack Smight. Il protagonista della storia ha incisioni sulla pelle che prendono vita e diventano racconti, come Leonard Shelby, personaggio principale di Memento, che ha il corpo ricoperto di memorandum per ricostruire la storia dell'omicidio della moglie; i tatuaggi servono a tenere traccia dei suoi ricordi, soffrendo lui di amnesia lacunare, o perdita della memoria a breve termine.



Memento è un grande noir che arriva in un momento particolare del cinema, attaccato dalla new wave coreana e al centro del passaggio dal grande al piccolo schermo. Il film di Nolan, infatti, ha il merito di recuperare un genere quasi dimenticato, riprendendone i canoni principali: la femme fatale, l'investigatore, l'indagine e le ombre. Il protagonista, maschio dominante, subisce una costruzione e decostruzione che lo porta a manifestare tutta la sua fallibilità. A far da sfondo a tale problematica, la cromaticità della pellicola che scorre sul doppio binario del bianco e nero e del colore, espediente che serve a Nolan anche per imbastire un particolare rapporto fra la temporalità passata e presente.



Memento è il primo ufficiale tassello di un lungo percorso che porterà il regista a indagare l'uomo e il suo rapporto con un mondo in continuo divenire, spaziale e temporale.



The Prestige di Luisella Farinotti: il saggio verte sui temi cardine del film del 2006, la magia e l'illusione, preconizzate dalla scena di apertura (che tornerà in chiusura) con cui si invita lo spettatore a osservare ciò che accadrà.



Anche questa pellicola è divisa in tre atti (promessa, svolta e prestigio) e la geometria compositiva dell'intreccio si riflette nel gioco di specchi che lasciano intravedere una successione di canarini: sembra quasi che lo spazio si replichi all'infinito. In questa sequenza di illusioni e dietro le quinte si svela il trucco magico che non è altro che un insieme di macchinari e ingranaggi messi in moto in una sorta di officina infernale completamente buia, in netto contrasto con il palcoscenico illuminato a giorno dalla luce dei riflettori.



Il lungometraggio è tratto dal romanzo di Christopher Priest, al cui centro c'è la rivalità fra due prestigiatori nella Londra vittoriana di fine Ottocento. L'interesse di Nolan per il periodo storico sta nell'essere fase di passaggio a quella modernità tecnologica che porrà le basi per la nascita del cinema, l'arte che ridefinirà “l'esperienza e le coordinate percettive dell'uomo moderno“.



Si sviluppa qui ciò che verrà portato a compimento nelle successive pellicole del regista, ovvero l'indagine della coscienza moderna, divisa tra logica e mistero, volta alla sperimentazione delle “macchine perturbanti” che producono “autentica magia“. Non è un caso che, in una tempesta di fulmini, appaia David Bowie, lo Starman che interpreta Nikola Tesla, presentato come una figura fantastica e in aperto conflitto con Thomas Edison.



Tale dualismo torna nei protagonisti Angier e Borden e nel senso del doppio come sosia o perfetto clone per la riuscita del gioco di prestigio della sostituzione. Ma Nolan si spinge oltre, perché l'espediente simboleggia il ritorno del morto e, dunque, l'illusione di poter controllare la vita stessa.



Il Cavaliere Oscuro di Laurent Jullier: il saggio guarda a uno dei film preferiti dagli utenti di IMDb da una prospettiva filosofica. Primi fra tutti, si analizza la figura dell'uomo della Provvidenza, Batman. Egli appartiene alla tradizione letteraria dei vigilanti che provano a ristabilire un ordine nel caos. Nel film, la gente di Gotham sopporta la diversità con la schiena piegata e con la speranza di cambiare la loro posizione riposta nel Cavaliere Oscuro, ma questi, in realtà, genera disordine. Bruce Wayne, infatti, è un ricco magnate che si preoccupa poco di chi, in società, “prende la fetta più grande della torta” perché è egli stesso a prenderla e a preoccuparsi di punire i criminali, non capire perché essi esistano.



Dall'altra parte c'è il caos impersonato dal Joker, l'immoralista e psicopatico per eccellenza. “Pericoloso per se stesso e per gli altri, bugiardo, disinvolto, amante dell'utilizzo di identità fittizie, privo di rimorsi e disposto a razionalizzare i suoi crimini mostra una delirante forma di autostima, un'impulsività che gli impedisce di fare progetti a lungo termine, una propensione a manipolare gli altri e un'incapacità di vedere come una cosa negativa il fatto che le sue vittime soffrono“.



Egli è deputato a smascherare Batman che non è il Cavaliere Bianco o Nero, ma Oscuro, pieno di insicurezze e votato ad azioni non sempre limpide e trasparenti, in un mondo in cui è più facile essere Joker che giustiziere.



Inception di Pietro Masciullo: il saggio analizza il film appartenente al filone del complex storytelling che mette in discussione la logica causale del cinema classico, sperimentando nuove soluzioni temporali che richiedono alte capacità interpretative da parte dello spettatore.



Bisogna riordinare la cronologia dei fatti, chiedersi dove finisca la dimensione reale e inizi la realtà virtuale e ricomporre la struttura non lineare del film che, nonostante ciò, presenta uno story concept semplice: Dom Cobb è un ladro professionista che estrapola dati sensibili dalla mente delle sue vittime con un marchingegno che genera un sogno condiviso. Il suo obiettivo è innestare un'idea nella mente di un giovane rampollo e fargli credere che le ultime volontà del padre siano quelle di fargli smembrare la multinazionale ereditata.



Nella narrazione agiscono tre livelli, ma se ne genera un quarto quando la moglie di Cobb, Mal, interferisce nel suo disegno. Ciò disorienta lo spettatore, chiamato a rivedere più volte il film per mettere in ordine i pezzi del puzzle, ma continuando a interrogarsi su ogni nuovo elemento narrativo per collocare bene i precedenti.



Sotto la superficie già complessa della pellicola, troviamo il senso intrinseco di tutto, perché Inception allegorizza le condizioni tecnologiche e culturali nate dal cinema contemporaneo e “stimola una riflessione potenzialmente infinita sulle radicali trasformazioni del nostro rapporto con le immagini del XXI secolo”.



Dunkirk di Alessia Cervini: il saggio approfondisce il film di guerra meno film di guerra che ci sia. Nolan, infatti, non contestualizza ciò che accadde a Dunkerque fra il ventisei maggio e il quattro giugno del 1940, quando i tedeschi occuparono la costa nord della Francia e migliaia di imbarcazioni private si mossero per salvare i soldati alleati lì bloccati.



Lo spettatore si trova in quel lembo di spiaggia ad azione già avvenuta e la osserva da tre punti di vista: la terra, l'acqua e il cielo. Il tempo, scandito dal ticchettio di un orologio, non è né oggettivo né misurabile, ma ha natura differente a seconda della prospettiva.



Le tre linee narrative si intersecano apparentemente nello stesso momento, ma in luoghi diversi, dando vita al montaggio alternato; nella realtà, invece, le tre storie avvengono su linee temporali diverse e con durate differenti. Si incontrano solo in pochi e brevi punti.



Oltre che sperimentare narrativamente, Dunkirk è un film che pone l'attenzione sui protagonisti del fatto storico, diventando “restituzione di un vissuto collettivo, attraverso l'esperienza di soldati e civili inglesi, per i quali il nome di quel posto infausto è Dunkirk, non Dunkerque” e giocando sui loro laconici sguardi.



Oppenheimer di Pietro Bianchi: il saggio analizza, fisicamente e filosoficamente, la portata della bomba atomica sganciata sul finire (e per far finire) della seconda guerra mondiale. Oppenheimer è, solo in apparenza, uno dei film più lineari e tradizionali di Nolan. In realtà, interseca un continuo andirivieni di due punti di vista diversi: la fissione a colori del 1954 e la fusione in bianco e nero del 1959.



Inoltre, la pellicola è divisa in tre parti: un prologo iniziale, ripreso alla fine con la catastrofica esplosione, e la scena madre al suo centro, quella del Trinity test.



Aleggia sull'intera opera l'esergo “Prometeo rubò il fuoco agli dei e lo diede all'uomo”, atto che gli costò la tortura per l'eternità, incatenato a una roccia. L'eroe greco diventa simbolo del progresso scientifico che, applicato alla tecnologia, ha sottomesso le potenze al volere dell'uomo. In tale scenario, Oppenheimer è colui che ha “scoperto le forze segrete della materia e ha scatenato questa enorme potenza nascosta” restandone soggiogato. Nelle sue mani, c'era la possibilità che l'intera atmosfera terrestre fosse stata distrutta dalla detonazione.



Qui entra in scena il dialogo con Einstein, mostrato da due diverse prospettive, prima in bianco e nero e poi a colori. Solo alla fine, scopriamo che il fisico consigliò a Oppenheimer di fermare il progetto e condividerne i risultati con la Germania nazista. Non sarà questa la sua scelta e, aver schiacciato quel bottone non avrà scongiurato l'eventualità della reazione a catena, ma l'avrà resa reale.



Il film non parla di un fatto vecchio di ottant'anni, ma di una distruzione che è già avvenuta e “della quale stiamo solo aspettando lo svolgimento conclusivo”.



“nella sua carriera non c'è nient'altro, non ci sono distrazioni dal cinema”

Recensione



I saggi della raccolta esplorano i concetti filosofici dietro la sceneggiatura dei film che trattano e presuppongono una certa conoscenza della trama da parte del lettore.



La narrazione è scorrevole ed estremamente interessante, apre un mondo sulla cinematografia nolaniana che va oltre la narrazione di fatti e la spiegazione della messa in scena. La sua filmografia, infatti, è estremamente compatta, coerente e consapevole di cosa significhi fare cinema. Per questo motivo, Christopher Nolan è uno dei pochi registi contemporanei inviso alle distrazioni; si occupa di cinema e basta.



Alcuni saggi del libro, soprattutto quelli riguardanti Inception e Oppenheimer, si fanno ostici per la natura della disquisizione sulla temporalità e sulla fisica, temi cari al regista. Nonostante ciò, il libro ha il merito di aprirci alla scoperta di un professionista della settima arte che non lascia nulla al caso e che scrive e dirige film profondi per un ampio pubblico, mantenendo inalterate le collaborazioni con il fratello, la moglie e i suoi compositori di fiducia.



La prefazione di Luca Malavasi, ci aiuta a entrare piano piano nel “cinema secondo Nolan” e spiega le sue costanti fondamentali, prime fra tutte, il rifiuto della computer grafica, o meglio, un suo parco utilizzo. Il regista inglese, infatti, vuole che i momenti esistano per se stessi e non sia creati in modo fittizio. Il caso più evidente di tale inclinazione è stato rappresentato da Oppenheimer, film in cui è stata riprodotto una vera detonazione atomica in scala.



Un altro importante aspetto messo in luce dal libro è l'attenzione con cui Nolan tratta “l'intensità emotiva e psicologica dei suoi personaggi“; dal supereroe mascherato al fisico nucleare, nessuno agisce per istinto, ma spinto da motivazioni rintracciabili dopo un'accurata disanima.



Insomma, si tratta di un libro imprescindibile per capire il regista e la cinematografia dei giorni nostri, intesa come progettazione complessa, ma accessibile al pubblico mainstream. Questo è il punto di forza di Christopher Nolan; parlare su più livelli di decodificazione e, dunque, parlare a tutti e contemporaneamente ai pochi che sanno osservare e ascoltare.



Il libro potete trovarlo QUI



L'Autore



Luca Malavasi è Professore associato di Storia e analisi del film e Cinema e cultura visuale presso l'Università di Genova. Collabora con Film TV ed è anche redattore di Cineforum. Tra le sue pubblicazioni, ricordiamo Caratteri del cinema contemporaneo (Kaplan, 2013) Postmoderno e cinema. Nuove prospettive d'analisi (Carocci, 2017), Il linguaggio del cinema (Pearson, 2019), Dalla parte delle immagini. Temi di cultura visuale (in collaborazione con B. Grespi, McGraw-Hill, 2021) e Il cinema contemporaneo. Caratteristiche, identità culturale, esperienza (2024).

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