NerdPool incontra Corrado Mastantuono
Nel corso della sua lunga e proficua carriera, Corrado Mastantuono ha legato spesso il suo nome alla produzione Disney o a serie pubblicate da Sergio Bonelli Editore. Più di recente, invece, ha debuttato nel fumetto statunitense, realizzando i disegni di una miniserie facente parte dell'universo di The Witcher. Il primo numero di The Witcher: Corvo Bianco è uscito in versione artist edition, con le tavole in b/n, seguite dalle matite e dall'intera sceneggiatura, e in occasione di Cartoomics & Milan Games Week, abbiamo avuto la possibilità di fare una chiacchierata con Corrado. Vi presentiamo quindi l'intervista integrale, buona lettura!
Ciao Corrado, benvenuto su NerdPool e grazie per questa intervista.
Grazie a te, grazie dell'interesse, è sempre un piacere e un onore.
Iniziamo parlando di The Witcher: Corvo bianco, la miniserie pubblicata in originale da Dark Horse e scritta da Bartosz Sztybor. Si tratta della tua prima collaborazione con un editore americano, giusto?
Sì, non è la prima volta che vengo pubblicato in America, perché sono stati tradotti lavori francesi, come Elias le maudit, o delle storie di Tex, ma è sicuramente la mia prima produzione americana, pensata e realizzata per l'America.
Com'è nato il progetto e come vi siete trovati a collaborare insieme?
È nato abbastanza casualmente e tutto per merito di Bartosz, che mi ha contattato semplicemente su Instagram chiedendomi se fossi interessato. L'idea mi piaceva molto, ma avevo grandi difficoltà perché già collaboro con Sergio Bonelli editore e con Walt Disney, licenziata da Panini, per cui avrei dovuto ritagliarmi del tempo per una produzione abbastanza serrata e folta. Allora ho raddoppiato tutto quello che mi proponeva. Ad esempio, voleva lasciarmi due mesi a numero e io gli dicevo che me ne servivano quattro, sicuro che m'avrebbe detto di no. Invece ne ha parlato con la casa editrice e mi ha detto che quattro mesi andavano benissimo. Poi, paradossalmente, sono stato l'unico a essere puntuale, mentre sono stati il colorista e Bartosz stesso a essere più in ritardo (ride).
All'inizio, come tutte le cose nuove, ho dovuto studiare, mi sono dovuto calare in quelle atmosfere e capire, in un mondo così vasto e che conoscevo poco, cosa andare a scegliere, visto che di The Witcher, tra videogame e fumetti, ne esistono tantissime versioni. Ho cercato una cronologia nello sviluppo del personaggio, soprattutto basandomi sui fumetti, per trovare una coerenza nel costume, o nella barba, ad esempio. A volte, nelle prime storie a fumetti è senza barba, poi improvvisamente ha una barba lunga. I vestiti cambiavano in continuazione. Ho proposto allora una mia visione del personaggio, che abbiamo poi affinato e concordato, per cui tutto è andato liscio. Oltre a lui, in realtà quasi tutti i personaggi sono inventati. Chiaramente ispirati sempre ai costumi del periodo e della serie, ma in quei casi sono stato libero di muovermi come volevo.
Quindi prima di questa serie non eri un fan di The Witcher?
No, assolutamente, non conoscevo nulla. Avevo intravisto, ma snobbandola impietosamente, la serie Netflix. Per me era un mondo sconosciuto. Non sono neanche troppo amante del fantasy, quindi ho dovuto recuperare tutto quanto. Poi devo dire che le sceneggiature di Bartosz sono deliziose perché sono sceneggiature digitali, chiaramente, con dei link per ogni cosa scritta. Per cui lui scriveva “Geralt prende la spada” e la spada aveva un link, così potevo vedere qual era. La bellezza di una serie così è che è già tutto documentato. Corvo bianco esiste, il cavallo è vero che cambia in continuazione, ma anche lui esiste. In quello ho avuto vita facile, è stato più complicato assemblare il tutto, però, nei termini né più né meno di una serie nuova che scopri quasi insieme al lettore.
Guardando invece più in generale alla tua carriera, hai lavorato molto per Disney ma anche per Bonelli. Ad esempio, a me piaceva tantissimo Magico vento. Quindi hai toccato anche tanti generi diversi. Ci chiedevamo come riesci ogni volta ad adattare il tuo stile in modo che sia funzionale a quella determinata storia? C'è invece qualche genere nuovo che ti piacerebbe esplorare?
Allora, il motivo di questa mia duttilità, chiamiamola così, è che casualmente ho iniziato in parallelo i due generi. Io vengo dal mondo del fumetto, per cui diciamo che ero leggermente più preparato per quanto riguarda il disegno umoristico. Però ho sempre amato e mi sono sempre dilettato anche nel disegno realistico, anche se più a livello amatoriale. Nel momento in cui mi sono dovuto confrontare per la prima volta col fumetto, con la Comic art, è stato proprio con un fumetto realistico, casualmente proprio un western. Erano 10 pagine di Ottavio De Angelis e dopo pochi mesi ho iniziato la collaborazione con la Walt Disney Company. Faccio sempre l'esempio dei ragazzi bilingue, che inizialmente ci mettono di più a iniziare a parlare, perché hanno un bagaglio di informazioni enorme da gestire, ma che poi si ritrovano a essere effettivamente madrelingua di entrambe le lingue. Per me è stato un po' così, ho faticato tantissimo all'inizio, soprattutto nella gestione del passaggio. Se lavori per un mese su Disney, poi passare subito a Bonelli non è facile, ma questa cosa, chiaramente, negli anni è stata sempre più facile e mi ha permesso di maturare questi due registri. Se fossero passati anche 3/4 anni tra un lavoro e l'altro sarebbe stato demotivante e molto faticoso. Invece avendolo iniziato in parallelo subito ho faticato, ma poi è scivolato tutto liscio.
Riguardo ad altri generi, ce n'è uno che ho sfiorato, diciamo, ma mai affrontato in maniera continuativa. Quello che viene chiamato oggi graphic novel, cioè un fumetto più autoriale. Non che non mi piacesse farlo, ma diciamo che ci sono dei limiti e dei rischi commerciali. Per uno come me, abituato a lavorare per Disney o Bonelli, è un po' come ripartire da zero. Si tratterebbe di riproporsi a un pubblico senza sapere come risponderà e rischiare magari di lavorare un anno senza guadagni o guadagni esigui e questo mi ha sempre frenato.
Ci sono stati comunque dei timidi tentativi, ad esempio per la collana Le Storie di Bonelli è uscito uno speciale a colori, Klon, che era a tutti gli effetti un graphic novel, ma non ha avuto il riscontro che m'aspettavo. Neanche da parte della casa editrice, che rispetto ad altri libri non ha neanche fatto la versione cartonata. Per cui magari il mio stile funziona più a livello popolare che non nell'élite dei fruitori di graphic novel.
Di recente hai anche realizzato una variant per Topolino a tema Retrogaming. Sei stato un appassionato o sei ancora appassionato di quel mondo? E come hai sviluppato il disegno?
No, anzi, e ti confesso pure una cosa. Faccio tutte cose che non mi hanno appassionato particolarmente e di cui a volte conosco pochissimo. Questo denuncia un po' quanto io sia vecchio (ride), ma quando ero ragazzino si vedeva per la prima volta il ping pong elettronico, e quello è stato il mio primo contatto con questo mondo. Poi, in realtà, ho iniziato a lavorare abbastanza presto, per cui ho abbandonato tutte queste cose futili ma bellissime, che possono appassionare un ragazzino di quell'età. Quando mi ci sono riavvicinato più avanti, per me già era un mondo difficile, ed ero già nell'ottica che fosse una perdita di tempo.
Negli ultimi anni mi ci sono leggermente riavvicinato, ma solo come spettatore, perché i miei figli non fanno altro (ride). Insomma, sono molto curioso e chiaramente tocco con mano l'esplosione qualitativa di questo media, perché ci sono dei giochi che sono dei film meravigliosi, con delle mappe dove puoi andare dappertutto ed è tutto perfettamente descritto.
Questa variant in particolare è un omaggio alla fiera (Milan Games Week) e ai videogame. Chiaramente mi sono rifatto al periodo d'oro, che è pure quello di Ralph spaccatutto, gli anni ‘80 e l'inizio degli anni ‘90. L'idea iniziale della redazione era di avere un Paperone che salta come Mario Bros. Io però avevo delle perplessità. Intanto perché non era molto facile da realizzare, e poi perché si potevano creare anche problemi di diritti. Allora ho proposto quella che avete visto, che rappresenta un videogame inventato in cui un bassotto, effettivamente molto somigliante come proporzioni a Ralph Spaccatutto, insegue Paperone in un gioco in cui lui deve rubare i soldi e Paperone deve impedirlo. Il gioco è proseguito anche graficamente, per cui il Bassotto è pixelato, è un personaggio del videogioco. Quando mandavo i file in redazione mi dicevano “ci hai mandato il file in bassa risoluzione” e io dicevo “no, no, è pixellato di proposito”. Addirittura, dal marketing mi hanno chiamato dicendo che era fuori fuoco (ride). Alla fine, quella pubblicata è anche molto ben riuscita come stampa.
Rimanendo nel mondo Disney, tra le ultime proposte c'è L'antologia di Blue Peaks Valley. In quel caso, hai approfondito l'origine del Papersera e anche il passato di Paperone. Come mai hai voluto esplorare quel periodo specifico?
Il progetto nasce in seguito a una storia realizzata per Topolino credo un paio di anni fa. Per il mese di dicembre il direttore Alex Bertani voleva tutte storie legate, che dovevano avere come comune denominatore il fatto che ci fosse stata un'incredibile nevicata sia a Topolinia, di 6 metri, che a Paperopoli, di 3 metri. Tutte le storie dovevano avere questa neve ingombrante e mi chiesero una storia per il Papersera. Erano tanti anni che scrivevo storie del Papersera e ho iniziato a chiedermi quando fosse nato, o perché Paperone si fosse messo in testa di creare un foglio stampato su cui raccontare le cose. E l'ho raccontato in questa storia di Topolino.
In seguito, ho iniziato a pensare di poter raccontare le storie non di Paperone, ma degli abitanti del villaggio di Paperone. Per cui ho creato questa Blue Peaks Valley, che è una vallata realmente esistente, ma inventata nella storia di Paperone. Ogni volta mi sono concentrato su un personaggio, prendendo ispirazione dall'antologia di Spoon River. Per cui Paperone funge solo da tramite e da cornice e, con l'aiuto del Papersera, approfondisce le storie e a volte le risolve. Tutto questo accompagnato dal cambio di stagione e dall'evoluzione di un piccolo sgabuzzino che piano piano si trasforma fino a diventare un deposito ligneo.
Sono abbastanza orgoglioso di questa serie. È stata un po' criticata perché, come sempre, quando vai a toccare il passato di Paperone, ci sono i puristi che si appellano alle storie di Barks, di Don Rosa e così via. Secondo me, storie come queste nascono chiaramente rispettando il personaggio, ma devono fare capitolo a sé, come una parentesi che in qualche maniera si collega al resto. Altrimenti sarebbe impossibile fare nuove storie. Comunque abbiamo cercato di rispettare il passato il più possibile. Ad esempio, nella storia del commerciante volevo raccontare l'incontro tra Paperone e il giovane Battista, per spiegare anche perché lui continui a lavorare per Paperone. Però, mi hanno detto di no, perché era già stato raccontato almeno due volte. Allora ho deciso di narrarlo in maniera tale per cui ognuno sa dell'altro, ma non si vedono, non si incontrano.
Ultima domanda per tornare a The Witcher. C'è qualcosa che puoi anticiparci sui prossimi numeri?
Intanto, si tratta della prima stagione, che invece di quattro numeri ne avrà cinque. Questo perché Bartosz aveva tante cose da raccontare e non riuscendo a mettere tutto nell'ultimo numero, si è pensato di avere altre venti pagine. In casa editrice erano indecisi se far uscire un numero di quaranta pagine, ma allora si è deciso per questa soluzione. Riguardo la storia, senza fare spoiler, posso dire che è sicuramente la fine di un percorso a cui seguirà un nuovo inizio. Geralt ha deciso che è stanco, che si vuole ritirare e che non ha più voglia di fare il vagabondo. Diventa stanziale, gli piace perdere tempo a fare la vendemmia, però chiaramente per lui questo tipo di vita, anche se fortemente inseguito, sarà destinato a rimanere impossibile.
Ringraziamo ancora Panini Comics e Corrado Mastantuono per la disponibilità e vi invitiamo a recuperare le sue opere, magari partendo proprio dalle ultime proposte come The Witcher: Corvo Bianco o L'antologia di Blue Peaks Valley.