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Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, la recensione

E se diranno che siamo sognatori, non importa; solo i sognatori possiedono l'intuizione totale.
Gustavo A. Rol

A vent'anni dalla sua uscita, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban torna in sala, come evento speciale, per una settimana. Abbiamo dunque pensato di recensirlo, per chi l'ha rivisto e per chi ha avuto modo di scoprirlo ora per la prima volta ed è in cerca di stimoli e riflessioni che arricchiscano la visione.



Terzo capitolo della saga cinematografica che ha conquistato il mondo tratta dal visionario mondo letterario di J.K. Rowling, questo film si confronta con un romanzo ancora non troppo lungo – la scrittrice ha aumentato le pagine solo dal capitolo successivo, dopo aver compreso la portata colossale del riscontro – e rappresenta il passaggio di testimone dallo stile colorato di Chris Columbus a quello tetro e più adulto di Alfonso Cuaron.



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L'universo magico di Harry Potter è talmente potente e abbraccia una così vasta gamma di emozioni e archetipi che si regge in piedi da solo, ma la scelta di affidare la regia ad uno sperimentatore come Alfonso Cuaron aggiunge qui uno spessore autorale tagliente e profondo e forse, in particolare dopo gli esordi notevoli ma senza affondi di Columbus – il secondo film risente di una atmosfera in fondo troppo serena -, anche spiazzante.



Il materiale narrativo non manca, ma Cuaron non si accontenta e fin dalla prima inquadratura si percepisce fortissima la sua voglia di sorprendere e sorprendersi. Il regista spagnolo non è intenzionato a realizzare una semplice trasposizione di Harry Potter, vuole girare un film d'autore lontano dai canoni che però ha l'identità unica e riconoscibile di un marchio iconico destinato a rimanere nella storia.



Può darsi. Ma per il momento lasciamolo dormire, perchè nei sogni entriamo in un mondo che è interamente nostro. Lasciamo che nuoti negli oceani più profondi o che si liberi oltre le nuvole più alte.
Albus Silente

In questo film, tutto sembra assumere una intensità e un livello di epica sontuosi. I protagonisti non sono più bambini, ma neanche giovani adulti, ed è emozionante leggere tra le righe dei loro sguardi sospesi e nebbiosi che assorbono Vita. In parallelo, la tenerezza di Hagrid, la fermezza di Piton, la follia lucida di Lupin e Black e le parole oracolari e struggenti di un irresistibile Silente contribuiscono alla magia ipnotica dell'operazione.



Merito della sceneggiatura pungente di Steve Kloves, che si lega simbioticamente alla regia spericolata di Cuaron e alla colonna sonora dell'impeccabile John Williams, che accompagna Harry mentre vola con Fierobecco in quella che è forse la sequenza più bella dell'intera saga. Harry Potter e il prigioniero di Azkaban riesce a mettere in scena il miracolo dell'incanto animale, infantile e atemporale dell'animato – e dell'animagus -, coniugandolo con l'angoscia crepuscolare e tenebrosa dell'ineffabile.



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7 luglio alle 09:40