Il segreto di Liberato, la recensione: un docu-film che ibrida i linguaggi e diverte con discrezione
Il 9 maggio 2017 esce il singolo di un cantante dall'identità segreta che si presenta col nome d'arte di Liberato. La canzone è sorprendente, in quanto ibrido di generi musicali applicati al dialetto napoletano e agli archetipi più classici della canzone d'amore partenopea; si tratta di un'idea estremamente originale e contemporanea, eppure magicamente radicata nel tempo.
Il regista che viene assunto per girare il video ufficiale è Francesco Lettieri, che diviene subito una specie di segretario di questo sconosciuto artista, ma da quel momento la fama di Liberato cresce a dismisura fino a raggiungere una dimensione colossale e la posizione di simbolo della città di Napoli. Con la stessa propensione verso il miscuglio sperimentale di generi audiovisivi e musicali, Lettieri realizza oggi un film – in uscita il 9 maggio 2024 – dove rivela qualcosa in più di questa enigmatica favola.
La struttura dell'opera si divide in blocchi vicendevolmente complementari: le scene tratte dagli svariati concerti di Liberato in giro per l'Europa si alternano ad alcune immagini che mostrano in maniera almeno leggermente più specifica il volto – non fisico e nominale, bensì caratteriale e dell'anima – del cantante, seguito negli spostamenti e nel dietro le quinte degli eventi, e ad una costruzione di finzione – ma ispirata ad eventi reali – che tramite le animazioni di LRNZ racconta l'adolescenza del protagonista e tutti gli avvicendamenti che lo hanno portato a diventare un vero e proprio caso musicale e mediatico.
Più che nella riflessione sull'opposizione tra un'epoca dove regna l'ostentazione delle immagini e il successo di un artista di cui non è visibile l'identità, l'esperimento funziona nello scandagliare il fascino unico e imperscrutabile di Napoli, luogo caldo e vulcanico dove la potenza immaginifica riesce a creare vita dal nulla e dove inevitabilmente ogni piccola emozione viene autenticamente amplificata e resa immortale. Liberato, in fondo, è la conseguenza e insieme la causa di questa magia territoriale, che intrappola e allo stesso tempo libera l'arte cresciuta nel cemento, immersa e proliferata nell'acqua di mare.
Mentre i segmenti relativi alle date di musica dal vivo e all'approfondimento del personaggio di Liberato – pur rappresentando una curiosa e in parte inedita finestra su un fenomeno che conosciamo ancora molto poco – rimangono nel medesimo spazio di patina (anti) commerciale che le canzoni e i videoclip già ci restituiscono da anni, le sequenze di animazione sono la vera anima e il vero “segreto” di questo docu-film, con il loro procedere intimo, realistico, ma anche sospeso, ironico e surreale.
Invece che in seguito ad un monologo fuori campo abbastanza superfluo affidato alla voce di Liberato, l'opera avrebbe infatti potuto tranquillamente chiudersi e compiersi dopo l'addio tra il protagonista e Lucia – appartenente alle sequenze di animazione – in aeroporto, il 9 maggio, che spiega la nascita della celebre leggenda ambientata in quella fatidica data. D'altro canto, il film di Lettieri possiede una leggerezza spontanea e mite ma anche vivace, goliardica e divertita, che non vuole oltrepassare con forza il confine dell'autoralità ma al contempo apre, per il futuro dello stesso Lettieri, esattamente a questo superamento.
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