Vectorman98 ha scritto una recensione su Traverse: Starlight & Prairie
“Let’s go on a journey.”
Prima di addentrarmi nella recensione di questo titolo, penso sia necessario fare una piccola, ma importante, premessa. Era fine marzo 2022; avevo appena terminato Arabian Nights - Sabaku no Seirei Ou, rimanendone alquanto deluso, visto l’hype iniziale. Cominciai a mettermi alla ricerca del prossimo RPG per Super Famicom da fare e, spulciando di qua e di là, ecco che trovo Traverse. Dalla stessa casa di Arabian Nights, sembrava condividere con quest’ultimo anche i suoi punti di forza: ero deciso a iniziarlo… Se non fosse che nessuno aveva pubblicato una patch di traduzione del titolo, né tantomeno aveva intenzione di farlo. Tutta la mia esaltazione si spense come una candela al vento, arrecandomi un certo senso di malavoglia nel fare quello che sarebbe stato il gioco successivo, Chou Mahou Tairiku Wozz. Successivamente, tuttavia, la delusione si stava facendo sempre più trascurabile, considerando anche che il titolo che aveva rimpiazzato Traverse stava diventando alquanto interessante; ma non svanì completamente e a distanza di tanto tempo continuavo comunque ad avere questo enorme desiderio di giocarlo.
L’attesa finì quando venni a conoscenza del sistema IA di traduzione a schermo di RetroArch. Una volta assicuratomi di avere sufficiente tempo a disposizione da dedicargli, mi sono fiondato dentro questa esperienza. E che esperienza.
Non sarò mai in grado di essere perfettamente oggettivo in questa recensione.
Grafica
Uno dei grandissimi punti di forza di Arabian Nights era lo stile grafico: ambientazioni molto dettagliate, penalizzate, tuttavia, dalla varietà; cosa che, in Traverse, non manca. Piuttosto che dilungarmi su cose che ormai si sentono dire sempre quando si tratta di giochi vecchi con grafica bella, preferisco soffermarmi su ciò che manca negli altri titoli simili: l’alternanza di luci, ombre, fenomeni atmosferici e stagioni. Il gioco presenta un sistema di data e ora variabili, con conseguenti cambiamenti visivi a seconda del momento in cui ci si trova all’interno dell’esperienza. Le città passeranno dall’essere verdi distese lussureggianti a depositi di neve in preda alle bufere, e sarà possibile vedere l’effetto della rotazione del pianeta con le differenti fasi di luce e oscurità. Tutto ciò non è relegato alle sole città, ma anche le foreste e le montagne subiranno variazioni in seguito agli agenti atmosferici e all’alternarsi del dì e della notte.
Ci sono alcuni stili differenti tra le varie città a seconda del loro posizionamento nel mondo e un ulteriore livello di varietà è riscontrabile anche negli altri luoghi che condividono un tema: per esempio, le montagne differiscono per la natura presente su di esse o per la presenza o meno di torrenti e cascate.
In ultimo, ma non certo per importanza, gli sprites sono un'altra grande dimostrazione della strabiliante varietà; alcuni personaggi vanno anche incontro a cambiamenti estetici mano a mano che passano gli anni. Inoltre, il protagonista ha sprites sinistri diversi dai destri, cosa assolutamente non scontata nei giochi dell’epoca.
10/10
Sonoro
Uno dei motivi per cui ero così convinto di voler giocare Traverse deriva dal primo video che ho visto sul titolo. In esso, il protagonista stava esplorando una montagna e la musica della zona... era semplicemente sbalorditiva. Ho ascoltato quella traccia non so quante volte da quando l’avevo scoperta e non faceva altro che tornarmi in testa.
Il resto della colonna sonora non è brillantissimo, ma merita davvero di essere ascoltato anche al di fuori del gioco. Definirei l’esperienza uditiva come solida, con qualche picco positivo e pochissimi negativi.
Il problema principale risiede, come in molti altri titoli che ho sperimentato, nel fatto che le tracce si resettano dopo un combattimento. Tipicamente, questo può essere positivo se si tratta di brani corti e con inizio ad impatto, come in Rudra no Hihou, o negativo nel caso contrario, come in Arabian Nights. Qui si ha una via di mezzo: alcune tracce sono troppo lunghe per essere ascoltate nella loro interezza, a meno che non si decida spontaneamente di interrompere il gioco, andare nel menù e ascoltare e basta; altre sono sufficientemente corte da essere sperimentate più o meno in modo esaustivo anche durante le zone con scontri casuali.
Il tema della battaglia è spettacolare così come quello dei paesi a tema giapponese e quello di alcuni villaggi più generici.
9/10
Storia
Il titolo si apre con il giorno di nascita del protagonista, Gantt. Poco prima dell’evento, le dodici dee che governano il mondo appaiono per comunicare che il bambino è la reincarnazione di una misteriosa persona a loro cara e che veglieranno su di lui durante tutta l’avventura. Una volta risposto ad alcune domande, ecco che giunge il fatidico momento; la felicità di suo padre Galahad, tuttavia, viene cancellata immediatamente quando quest’ultimo si accorge che sua moglie ha lasciato la vita terrena. Convinto che la colpa sia di Gantt, il padre lo accusa di essere figlio del diavolo e inizierà a trascurarlo completamente, cedendo alla depressione e dandosi all’alcool.
14 anni dopo, il protagonista viene incaricato da Galahad di andare a recuperare altre bottiglie di vino al bar della città; Sonia, amica d’infanzia di Gantt e figlia dei proprietari del locale, accetta di dare altro alcool solo in cambio di un fiore che cresce su una montagna vicina. Portata a termine la prima avventura e sistemate altre questioni, il ragazzo si accorge di non poter fare tanto, confinato sull’isola dove si trova e, insieme a Sonia e Balmore, un avventuriero alla ricerca di tesori, parte su una nave diretta al continente principale. Ha così inizio la vera avventura.
Non è ciò che ci si aspetta: nessun impero che vuole conquistare il mondo, niente cristalli che governano gli elementi, nessuna divinità che vuole ricominciare da capo con l’umanità... E va benissimo così. Lo scopo del gioco è di far sentire il giocatore all’interno di un’esperienza esplorativa senza meta fissa e indirizzata al farsi trasportare dagli eventi che accadono di volta in volta nei 10 anni permessi dal titolo.
Non è altro che un’enorme collezione di side quests. E che side quests. Sono tutte molto interessanti e originali, dall’aiutare una ragazza a trovare i suoi giocattoli magicamente divenuti viventi a esplorare le cime delle montagne e le profondità delle grotte. Grazie a tutti questi spunti di storia è favorito un ottimo sviluppo dei tantissimi personaggi che si possono avere nel party.
Alcune di queste mini avventure sono davvero carine e a volte autoironiche. L’ultima che ho fatto, in particolare, mi ha fatto ridere come non mai per il livello di assurdità che stava raggiungendo e il gioco ne era anche consapevole.
Ci sono tantissimi finali a seconda delle azioni che si compiono in certi momenti del gioco e aggiungono piccole parti molto ben accette allo sviluppo di alcuni personaggi.
10/10
Gameplay
JRPG a turni, open world, con scontri casuali. Il sistema di base non è tanto differente rispetto ai classici giochi di ruolo: si parte visitando una città, si comprano armi, equipaggiamenti, oggetti curativi, si parla con le persone e si fanno le missioni che vengono assegnate; a questo punto, si va tipicamente nel dungeon di turno, si risolve il problema e si torna indietro, prima di abbandonare la città e proseguire a quella successiva.
Il sistema di combattimento prevede un party di fino a 5 personaggi, scelti tra quelli disponibili, con peculiarità uniche, dipendenti dalla classe che ricoprono. Gantt, in particolare, avrà un’abilità speciale in base alla costellazione del suo giorno di nascita (a scelta del giocatore) e determinate capacità con armi e magia dipendenti dalle domande poste dalle 12 divinità all’inizio del gioco. Non c’è un sistema di level up vero e proprio, ma i personaggi guadagneranno statistiche alla fine di alcune delle storie. Fanno eccezione le affinità con le armi e la magia, le quali salgono di livello in base al loro utilizzo.
La difficoltà delle battaglie è particolarmente elevata, considerando la natura open world del gioco e, di conseguenza, la possibilità di imbattersi in dungeon non ancora “assegnati” dalla storia e che quindi possono risultare ardui da portare a termine. L’encounter rate è forse il migliore che abbia mai visto in un gioco del genere: basso ma non troppo.
Traverse presenta un sistema di karma che stabilisce quali missioni possono essere attivate. Per ogni azione negativa (ad esempio ordinare da bere dell’alcool quando si hanno meno di 20 anni) si guadagna karma, mentre ogni volta che si compie qualcosa di buono si perdono punti. Il sistema di per sé ci sta, se non fosse che non è possibile stabilire il valore del proprio karma se non se ne tiene conto ogni volta e non si sa con esattezza quanti punti si perdono/guadagnano dopo ogni azione; questo crea problemi, considerando che c’è una quest alquanto fondamentale che richiede un valore alto e un’altra che, invece ne richiede uno basso. Senza una guida si può perdere permanentemente parte della storia e il finale buono risulterà, in questo caso, impossibile da realizzare.
La maggior parte delle missioni è facilmente individuabile: se una di queste avviene solo in un particolare giorno, nel 90% dei casi è chiaro quando presentarsi per farla partire. Altre, invece, sono piuttosto nascoste e, nuovamente, senza una guida non si possono minimamente trovare.
Nonostante questi difetti, mi metto nei panni degli sviluppatori: hanno prodotto esattamente quanto volevano ottenere. Scopo del gioco è vivere un’avventura realizzabile grazie a un enorme livello di libertà che lascia spazio al giocatore per esplorare l’enorme mondo a suo totale piacimento. È come nella vita di tutti i giorni: a volte accadono delle cose che non si possono sapere a priori e, se non ci si trova nel posto giusto al momento giusto si perde la possibilità di assistere a tale avvenimento. Tuttavia, non si può negare che alcune decisioni da prendere sono del tutto controintuitive e, se ci si basasse solo ed esclusivamente sul buon senso, si farebbero scelte che, ancora, impedirebbero di vedere il finale buono.
9/10
Longevità e rigiocabilità
Il gioco è immenso. Con una cinquantina di città da esplorare e una trentina di missioni da portare a termine, il titolo presenta una delle più grosse esperienze sulla piattaforma. Senza una guida, si possono tranquillamente superare le 60 ore di gioco.
Il titolo non stufa per niente: come per pochi altri giochi del genere, mi sono ritrovato a giocarci tanto tempo senza neanche accorgermene e ho desiderato più volte di fare una partita quando non ne avevo la possibilità.
L’avventura finisce in qualsiasi momento dopo aver abbandonato l’isola di partenza: in quell’occasione, compare nel menù un’opzione recante la scritta “matrimonio”; aprendola, sarà data la possibilità di far sposare Gantt con una tra molte delle ragazze incontrate durante il viaggio. Alcune delle opzioni sono limitate a certi eventi, altre sono immediatamente disponibili: tutte aggiungono una bella conclusione alla storia, dalle più tristi alle più felici. Alternativamente, si può sempre decidere di lasciar passare 10 anni, momento in cui sarà chiesto al giocatore di fare una scelta e, indipendentemente dalla risposta, il gioco terminerà automaticamente. In definitiva, l’esperienza può essere conclusa in qualsiasi momento lo si desideri e, per quanto il finale buono sia nettamente meglio degli altri, sono contento di aver esplorato anche altre conclusioni.
Infine, se non si fosse capito da quanto detto finora, la rigiocabilità è chiaramente un punto di forza; è impensabile fare tutto in un primo gameplay e la varietà dei personaggi permette di sperimentare moltissimo, dando la possibilità di fare nuove giocate con approcci molto diversi.
10/10
Che dire, adoro Traverse. Non è perfetto; ci sono cose che potrebbero essere sistemate. Eppure, mi sento di dire che è uno dei miei JRPG per Super Famicom preferiti... se non il mio preferito.
Voto assegnato da Vectorman98
Media utenti: 9.6