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Death or Treat – Recensione

Siamo alle porte dell'estate ma il team madrileno Saona Studios ha deciso di pubblicare su PlayStation 5 (e prossimamente anche su PlayStation 4) Death or Treat, un roguelite 2D ispirato sullo spirito di Halloween. Lo stile cartoonesco e le animazioni ben fatte presentano a dovere un prodotto che, tuttavia, nasconde numerose insidie. Scoprite quali nella nostra recensione!



I proverbiali ban di Zucchina



In Death or Treat vestirete il panno bianco di Scary, un fantasmino proprietario di un negozio di manifattura di dolcetti della cittadina di HallowTown. Di recente, lo spirito di Halloween è scomparso dalla città, portandola alla rovina e costringendo tutti i negozianti a chiudere il bandone. La colpa è di Carl Fackerberg, fondatore di FaceBoo!, che ha iniziato a distribuire una droga di nome Storyum capace di prosciugare la forza di volontà e lo spirito di Halloween ai malcapitati. Il nostro compito sarà quello di conquistare le tre divisioni minori di Fackerberg (Darkchat, Deviltube e RipTok) per poi sconfiggerlo direttamente nel suo regno di FaceBoo!. Durante il nostro viaggio potremo rivitalizzare i negozi di HallowTown e sfruttarne la mercanzia.



Queste sono le semplici premesse di Death or Treat che fungeranno da espediente narrativo per l'intera opera. Una trama piuttosto superficiale che, tuttavia, svolge un compito del tutto marginale e a cui viene dedicato effettivamente poco spazio dagli sviluppatori stessi.



Un omaggio agli hack ‘n' slash



Death or Treat si concentra principalmente sulle fasi di gameplay, che ricopriranno oltre il 90% del tempo trascorso dal videogiocatore. La struttura di gioco è essenziale. HallowTown è l'hub principale in cui potremo potenziare l'equipaggiamento, ottenere bonus passivi o acquistare oggetti di crafting. Una volta preparati per l'avventura, inizieremo la nostra crociata contro Fackerberg invadendo dapprima Darkchat. Ogni mondo è suddiviso in una dozzina di schemi generati proceduralmente colmi di nemici da annientare. Al termine di ogni mondo ci sarà una boss fight, terminata la quale potremo decidere se abbandonare la missione oppure tentare di affrontare il mondo seguente, rischiando però di lasciarci il panno.



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Il nostro carissimo Scary può utilizzare una sola arma per run, ognuna delle quali con una sua animazione e dei suoi tempi di attacco, nonché un eventuale effetto attivo. Potremo anche scegliere un'abilità speciale fra 3 alternative utilizzabile saltuariamente consumando una apposita barra. Le mosse sono quelle tradizionali del genere, ossia attacco leggero, attacco pesante, salto e schivata. Concatenare queste mosse crea delle rudimentali combo che possono essere risolutive nelle (rare) circostanze più tediose.



Il livello difficoltà è stranamente tarato verso il basso. Eccezion fatta per qualche stanza che risulta impossibile da completare illesi, ogni fase può essere facilmente superata spammando l'attacco leggero e schivando i lenti attacchi nemici. Inoltre, ogni run vi “regalerà” dei bonus passivi che, se fortunati, possono veramente darvi una grossissima mano e stravolgere il potenziale di vittoria.



Carino ma noioso



Il gameplay risulta, a conti fatti, moderatamente dinamico e piuttosto fluido, sebbene essenziale. Le fasi di platforming sono molto superficiali e la varietà dei nemici è ridotta a pochi esemplari che cambiano aspetto da un mondo all'altro. Inoltre, Death or Treat ha l'enorme difetto di non proporre nessuna componente esplorativa, rendendo ogni run una rush al boss finale di fine livello. Mancano i motivi per trattenersi, per combattere o per proseguire. In ogni roguelite che si rispetti, la decisione di andare avanti è mossa dall'avidità del bottino prestigioso o dalla curiosità di esplorare zone invitanti, assumendosi il rischio di imbattersi in nemici clamorosamente forti, trappole letali o malus inattesi. Death or Treat fallisce rovinosamente in questo frangente.



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La logica conseguenza è la monotonia che ben presto invaderà il vostro spirito da videogiocatori. Sebbene la proceduralità strutturale del gioco vi proponga livelli mai uguali, si tratta di una diversità puramente concettuale ma non sostanziale. La poca varietà di nemici, un level design decisamente povero e l'assenza di premi al di fuori della valuta di gioco e degli oggetti da crafting porterà Death or Treat a esaurire ben presto le sue cartucce. Si salvano solamente le boss fight che, tuttavia, essendo solamente 4, non rialzano la baracca.



Se come feeling e coinvolgimento annoveriamo molteplici lacune, l'opera di Saona Studios, fin dai primi trailer, aveva fatto trapelare una cura estetica assolutamente di prim'ordine, spiccando in particolar modo sugli effetti luminosi. Con questo stile cartoonesco e delle animazioni curate e fluide, Death or Treat fa visivamente bingo, trovando un mix fra Hollow Knight e Cuphead che funziona sin da subito. Anche sotto il profilo del comparto sonoro ci sono poche critiche da smuovere, con una soundtrack non memorabile ma funzionale e i variegati effetti sonori dal sound sorprendentemente pulito. Presente inoltre una buonissima localizzazione in lingua italiana nei sottotitoli (il parlato non è presente).



Gradisce una patch?



Al momento della stesura della recensione, siamo purtroppo costretti a segnalare un quantitativo di bug e problematiche tecniche che minano sensibilmente l'esperienza di gioco. Oltre al prevedibile ostacolo della proceduralità che, di tanto in tanto, genera stanze che non hanno una via di fuga e che vi costringono al suicidio, ci sono altre problematiche minori che speriamo possano essere risolte con delle patch a breve.



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Uno di questi problemi è una fastidiosa linea orizzontale di interferenza visiva permanente che stanca la vista anche dei videogiocatori più tenaci dopo un'oretta scarsa. Segnaliamo anche un ingombrante input-lag sui comandi nelle fasi più concitate che può compromettere la nostra prestazione. Molto grave anche il blocco occasionale di un tasto principale quando si apre un menu qualsiasi che ci obbliga a chiudere l'applicazione e riaprirla (con dei tempi di caricamento non accettabili su PlayStation 5 per un prodotto in due dimensioni). Non mancano ovviamente all'appello altri bug minori come le hitbox sfasate di alcuni attacchi nemici o dei danni subiti ingenti senza apparente motivo.



Una villetta priva di fondamenta



In sostanza, Death or Treat è un roguelite a cui mancano le basi per potersi affermare nel panorama indipendente di genere. I ragazzi di Saona Studios hanno fallito sui concetti di base, quali la componente esplorativa o la varietà sostanziale delle stanze e dei nemici, ingolfando il proprio prodotto con difetti tecnici ingiustificabili su console di ultima generazione (soprattutto se lanciati sul mercato a un prezzo non trascurabile). È stata riposta fin troppa cura sul versante estetico-sonoro, andando a trascurare aspetti che sono cruciali. Metaforicamente, Death or Treat è una ciliegina glassata su una torta bruciata. Ci troviamo costretti a bocciare il titolo d'esordio del team spagnolo che, forse, ha osato troppo. Se ci si fosse limitati a produrre un hack ‘n' slash lineare, evitando di inserire componenti roguelite, la proposta sarebbe stata più semplice e probabilmente si sarebbe presentata in maniera più godibile. Sarà per la prossima volta!



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Trofeisticamente parlando: no, non è uno scherzetto!



L'elenco trofei di Death or Treat comprende 6 coppe di bronzo, 7 d'argento, 8 d'oro e l'ambito Platino. Per mettere le mani sulla coppa blu sarà necessario finire il gioco, sconfiggendo il boss finale, e sbloccare tutte i bonus acquistabili ad HallowTown. Un'impresa tutt'altro che difficile anche per i novizi del genere, ma che vi richiederà circa 20 ore di farming.




L'articolo Death or Treat – Recensione proviene da PlayStationBit 5.0.

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19 giugno 2023 alle 17:00

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