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La vita accanto: la hybris, un dettaglio?

Catapultato nel dramma di una famiglia borghese di una Vicenza degli anni '80, lo spettatore necessita di sciogliere, quasi fin da subito, le redini del mistero. L'incidente scatenante che distruggerà l'equilibrio della famiglia Macola, sarà la collera di Maria nell'aver dato alla luce una bambina, Rebecca, con un “difetto” fisico, un'enorme macchia rossa sul viso. Da quel momento la donna si lascia andare in una profonda solitudine, allentando repentinamente il rapporto con suo marito Osvaldo. Rebecca trascorre i primi anni di vita, celata nella sua bellissima e deprimente casa, fino a che sua zia, Erminia Macola, cosciente che la ragazza abbia ereditato il suo talento da musicista, la spinge ad iscriversi a scuola e, infine, a frequentare il conservatorio.



Valentina Bellè



Si potrebbe trattare di una storia di riscatto, un lungo riscatto, originato dal sentimento di reflusso di una madre verso una figlia, fino a giungere al frustrante e irrazionale pretesto di emarginazione della società. Eppure, l'obiettivo del film, non sembra esaurirsi in quanto dichiarato. Il velo di mistero, declinato dagli interni cupi, desolati, di una casa affranta dalla collera, appare dissonante rispetto alla narrazione: lo spettatore si chiede cos'altro si possa celare dietro questo dolore, per giunta, estremamente trasparente e percettibile nell'ira funesta di Maria nell'udire gli esercizi al pianoforte di Rebecca, come se quelle mani affondassero violentemente in una ferita aperta. Dunque è necessario parlare, ancora una volta, di mistero? Il suicidio di Maria si plasma, imponentemente, nell'inconscio di Rebecca, generando, in lei, continue e irrisolte visioni oniriche, dalle quali lo spettatore si lascia irretire volontariamente, ancora affamato da eventi altri, cercando di sopravvivere alla bulimia provocata dal racconto usuale e “patetico” della storia della ragazza “diversa” a cui il destino deve necessariamente un riscatto. Il riscatto si compie, ma il fantasma, come in una tragedia shakespeariana, continua a perseguitare Rebecca, quasi spazientendo lo spettatore che non riesce a coglierne l'aderenza con la narrazione principale caratterizzata da eventi pressoché superflui.



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Beatrice Barison e Sonia Bergamasco



In effetti, l'aspetto onirico del film, viene presentato quasi alla fine e (de)costruito come un dettaglio, trascurato per l'intera narrazione, su cui probabilmente poteva ergersi concretamente un mistero. La macchia sul volto di Rebecca risulta essere la manifestazione fisica della cosiddetta hybris, generata dall'incesto del padre con sua sorella Erminia. Probabilmente la scelta di inserire il disvelamento di tale segreto a Rebecca intendeva provocare nello spettatore quella sorta di “straniamento” catartico e, anche essenzialmente retorico, quel colpo di scena a cui lo spettatore non aveva pensato. Il mistero si risolve ma la trama non imbocca nessun sviluppo “inaspettato”, la protagonista decide di lasciare la casa paterna ma senza lasciar trasparire alcun cambiamento in lei, eccetto quello fisico, poiché la scoperta dell'incesto comporta l'improvvisa sparizione della macchia in volto. Un film che si presenta interessante ma che purtroppo rinuncia al vero sviluppo dell'enigma, il quale è insufficientemente intricato negli eventi della narrazione principale, senza lasciare spazio ad una partecipazione “attiva” dello spettatore.



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