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Reveil – Recensione

La cultura dell'orrore, del brivido e dello spavento sta tornando di moda nell'ultimo periodo. Anche solo nel panorama videoludico, negli ultimi mesi abbiamo assistito al revival di Silent Hill con il capitolo The Short Message (oltre all'annuncio del remake del secondo episodio) così come a quell'opera mastodontica che è Alan Wake II, che chi vi scrive non è riuscito a giocare per la troppa fifa. Anche l'”Indieverso” ha voluto dire la sua, cavalcando l'onda con Reveil, un horror che mischia introspezione, puzzle e clown – anzi calcando la mano proprio su questo famoso elemento di paura.



La pasticca va giù e un'altra giornata comincia



Nel titolo sviluppato da Pixelsplit vestiremo i panni di Walter, un padre di famiglia. Risvegliatosi nella sua stanza, Walter si accorge di essere solo in casa e di aver smarrito la moglie e sua figlia, ma non è l'unico elemento di stranezza che il protagonista nota. La casa è diversa, le stanze cambiate e le pareti distorte; porte chiuse a chiave, camere sporche e puzzolenti, quadri con immagini disturbanti e un'aria pesante in giro. Per scoprire cosa stia accadendo davvero, Walter dovrà risolvere tanti enigmi collegati ai suoi ricordi, alla sua infanzia e alla sua vita con la famiglia, usandoli da ponte per trasmettere al giocatore le sue emozioni e il suo passato.



Da ex gestore di un circo a gestione familiare, a Walter toccherà viaggiare nella sua mente e ripercorrere scenari, situazioni e sensazioni della vita da circo; e con questo si intende avere a che fare con tanti clown e specchi – forse anche troppi. Se inizialmente i colpi di scena si sprecano, al giocatore bastano in verità pochi minuti di gioco per capire i retroscena che la storia di Reveil cerca invano di nascondere per presentarlo come un cliffhanger futuro.



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Il delitto imperfetto



Nonostante l'idea alla base non sia malvagia, non si può dire che sia originale. Sfortunatamente Reveil non osa, non azzarda mai più di tanto e non riesce mai, durante tutta la durata della storia, a scrollarsi di dosso quella sensazione di star giocando un cliché continuo. Uno degli elementi (ma non il più grande) che affossano la produzione, essendo essa focalizzata sulla storia e sulla narrazione, è proprio lo storytelling.



In gran parte rovinata da eventi pronosticabili a causa degli atteggiamenti dello stesso protagonista, che tende a spiegare qualunque dettaglio su ogni oggetto esaminato, svelando tutti i dietro le quinte anche degli elementi più importanti; questo scrive al giocatore un'equazione facilissima da risolvere. Ma meglio fermarci qui per evitare spoiler, meglio tenere la coscienza pulita e non rischiare di sognarmi un clown assassino stanotte.



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“Non tutti i residenti sono malvagi”



La casa degli orrori di Reveil è invece un castello di carte. Da non amante degli horror e dalla paura (assurdamente) facile, Reveil non è riuscito a spaventarmi nemmeno una volta. Le atmosfere non trasmettono nulla di davvero pauroso, non si prova mai la sensazione di pericolo e la voglia matta di scappare. E per quanto alcuni livelli riescono a calcare una giusta atmosfera, tra il pauroso e il disturbante, è il suo contorno a far ridere invece che piangere. Parlo non solo di una IA deficitaria, più che altro programmata per seguire gli stessi movimenti a rotaia e pertanto facilissima da eludere, ma anche dei jumpscare.



I jumpscare, quei frame a schermo pieno con urla sparate con il volume al massimo, sono ciò che mi tengono lontano dagli horror, lo confesso. Generalmente mi fanno saltare dalla sedia, a volte mi inquietano e mi disturbano il sonno, ma ciononostante mi sono fatto forza e ho avviato Reveil con la consapevolezza che ne avrei affrontati.



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Forza e coraggio…?



Ma di prepararmi non ce n'era assolutamente bisogno, perché i jumpscare in Reveil sono frequentemente piazzati in punti per nulla strategici, dove sai benissimo che stanno arrivando. E poi arrivano esattamente quando ce li aspettiamo, telefonatissimi. Forse le atmosfere troppo poco spaventose non riescono a far “giocare” bene i jumpscare, facendoli fallire nel “cheap shot” di spaventare il giocatore.



Reveil è solo un walking simulator contornato da puzzle da risolvere, alcuni calibrati bene, con una soluzione giusta e appagante, altri invece assurdi e completamente sconnessi da logica e informazioni a nostra disposizione. La produzione non riesce mai a eccellere in nessun aspetto: non fa paura, non riesce a coinvolgere con la sua storia, le ambientazioni sono blande e poco originali. E' un gioco che esiste e basta, e che non si cura di voler raccontare una storia quantomeno decentemente. Più di un'occasione sprecata.



Trofeisticamente parlando: tanta ricerca, poco impegno



Una buona notizia per i cacciatori di trofei: il Platino di Reveil richiede davvero poco impegno. Per ottenere la coppa magna bastano dalle due alle quattro ore di gioco – guida alla mano, s'intende – e richiede di raccogliere tutti i collezionabili in tutti i capitoli, sbloccare tutti i finali, compiere azioni particolari come completare il rituale nel capitolo 2 o ascoltare la storia del circo nel capitolo 1.




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17 agosto alle 17:00

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