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Food Truck Simulator – Recensione

Siamo stati tecnici, elettricisti, chef stellati, chirurghi e persino capre; il filone dei “Simulator” non ha veramente fine, e stavolta è toccato a Food Truck Simulator. A cura di DRAGO Entertainment, il simulatore protagonista di numerosi streaming è arrivato anche su PlayStation 4 dopo ben due anni dalla release su PC. L'apprezzato paninaro, però, non ha fatto un figurone nel quartiere delle console.



Come si accende il forno?



Food Truck Simulator si presenta sin da subito come ce lo aspettiamo: sciatto, blando e trascurato. Forse un po' per pigrizia, o un po' per far fede al simulare un paninaro senza arte né parte. Ereditato un vecchio furgone da nostro padre, per tenere alta la sua reputazione, il protagonista sceglierà di rimboccarsi le maniche e di ereditare anche la fama di paninaro migliore della città.



Ma non sarà facile. L'intero percorso sarà infatti pieno zeppo di ostacoli, tra la completa ignoranza in materia del protagonista ai tentativi ripetuti di sabotaggio da parte di qualche vecchia conoscenza. Ecco, la modalità campagna non è che offra una storia di chissà che qualità; nonostante i colpi di scena (alcuni davvero scontati), la trama è banalissima e ripetitiva



Nonostante la componente strategica abbia uno scheletro interessante, questa purtroppo è tutto fumo e niente arrosto. Abbiamo apprezzato la necessità di dover gestire il chioschetto e non solo il dover cucinare a più non posso. Grazie a Clara, una vecchia mercante amica del papà del protagonista, i giocatori avranno aperte le porte della compravendita dei prodotti.



Panini, patatine, pesce, hamburger, formaggio e pomodori. Tutti ingredienti che bisognerà necessariamente comprare prima di aprire il chiosco, altrimenti ci ritroveremmo senza pietanze da poter servire. La meccanica, come scritto di sopra tuttavia, è risicata e costruita in modo forzatissimo: basterà acquistare tutti i prodotti in stock fino a riempire la dispensa e il gioco è fatto.



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Uè uè, mamma mia



Ma com'è, invece, cucinare? Si tratta di un'operazione abbastanza basilare, seppur un pochino meglio costruita come meccanica. Si carica una bombola di gas nell'apposito slot e si attendono le prenotazioni automatiche. A questo punto si osserva dal grosso monitor l'ordinazione e gli ingredienti richiesti, facendo bene attenzione ai gradi di cottura dei singoli elementi.



Al sangue, cotta, ben cotta o abbrustolita. La cottura – che sia di carne, patatine e quant'altro – gioca un elemento fondamentale per aumentare il livello di fama e per avere ricompense più laute. Ma essenzialmente il gioco si riduce a un posizionamento su griglie e su friggitrici dei singoli ingredienti richiesti, con l'uso all'occorrenza del tagliere per affettare pomodori, aprire panini o preparare sushi.



Agli ostacoli story-driven però se ne aggiunge uno tecnico: la manovrabilità. L'ottimizzazione per il controller è inesistente, cosa che farà sembrare i nostri movimenti rigidi come fossimo dei pezzi di legno; imprecisi, lenti e frustranti. Da menzionare l'aggiunta una leggera varietà nella campagna grazie alle missioni secondarie, in cui, per citarne una, ci toccherà sfornare delle (oscene) pizze presso il chioschetto dello stereotipo italiano.



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Overcooking Daddy



Il problema peggiore di Food Truck Simulator tuttavia è un altro: è noioso. Con un insensato timer, che indica soltanto il lasso di tempo in cui i clienti possono ordinare da mangiare, cerca di giocare a fare l'Overcooked nella vita reale. E' un gioco simpatico per la prima ora, dopodiché si comincia a notare una certa ripetitività che sfocerà presto o tardi in noia. E non bastano le nuove aree sbloccate a dare un po' di pepe all'avventura.



Anche perché, per assurdo, hanno reso possibile guidare il furgone in città per recarsi nei punti interessati, ma l'hanno fatto talmente male al punto che sarebbe stato meglio tagliare il free-roaming. Controlli ingestibili, camion pratticamente impossibili da guidare e con una fisica tutta loro, città morta, auto buggate, colori spenti e quasi morti; tutto per il pretesto di aggiungere inutili cosmetici da raccogliere sparsi per la città.



Il bello (per così dire) viene quando si parla della componente audiovisiva. Uno strazio entrambe, sia l'audio che il video. Trascurando la grafica da PlayStation 2, anche perché da un Simulator non ci aspettiamo grandi cose, è atroce vedere come qualsiasi cosa, dalla città ai passanti, le strade, le macchine e persino gli ingredienti siano low poly. Tutto dà un senso di “plasticoso”, e i colori invece sono tra i più innaturali di un gioco moderno, tra ombre sballate e scenari notturni in cui hanno giusto spento ogni luce: niente Sole, giusto. Ma i lampioni?



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Il comparto audio, però, è l'elemento più strano dell'intera produzione. La colonna sonora è quanto di più generico ci possa essere, mentre i doppiatori non sono mai convincenti e alcuni in particolare hanno una sovraesposizione bizzarra. La vecchia Clara fra tutti, l'anziana signora incollata al telefono per darci consigli 24 ore su 24. Anziché suonare come una telefonata, i suoi messaggi sembrano onirici, come se il protagonista li stesse pensando con la voce (altissima) della signora, al punto da coprire le altre voci. Un disastro.



Il Platino di Food Truck Simulator



La coppa di Platino di Food Truck Simulator non è difficile da vincere, ma è di sicuro una strada molto lunga. Essenzialmente, bisognerà completare la modalità storia, raggiungere il livello 5 di prestigio, servire trecento clienti e guadagnare più di 500 dollari di mancia. Il tutto vincendo le medaglie d'oro in ogni singolo punto di vendita e completare venti ordini senza mai sbagliarne uno. Ci vuole un certo livello di sadismo per portarsi a casa questo trofeo di Platino.




L'articolo Food Truck Simulator – Recensione proviene da PlayStationBit 5.0.

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17 giugno alle 17:10