Tales of Kenzera: ZAU – Recensione
Radhi ni bora kuliko mali (“la benedizione dei genitori vale più della loro eredità“). Questo proverbio (o meglio, methali) swahili sembra calzare a pennello con il protagonista della nostra storia, che tanto avrebbe voluto imparare da suo padre, mentre invece si trova a rincorrere dei mostri nel disperato tentativo di farlo resuscitare. Tales of Kenzera: ZAU parla di esperienze di vita, di superamento di un lutto familiare; soprattutto, sullo sfondo della cultura africana bantu racconta una storia personale.
Doppiatore oltre che interprete teatrale, cinematografico e televisivo, l'attore britannico Abubakar Salim è anche il fondatore e direttore creativo di Surgent Studios, un'azienda dedita ai podcast, ai film e di recente anche ai videogiochi. Trovato in EA Originals l'alleato ideale, il gruppo di stanza a Sudbury, nel Regno Unito, ha realizzato un action platform che nel suo essere ben più lineare di, per esempio, Hollow Knight nonostante condividano la stessa etichetta di metroidvania e seppure mostri il fianco a una tecnica e una grafica non sopraffina, riesce a equilibrare le sue parti.
Elimu ni maisha, si vitabu (“si impara dalla vita, non dai libri”)
Non è la prima volta che il medium videoludico venga utilizzato per parlare di un lutto e del viaggio alla ricerca della sua accettazione, basti pensare a Gris. Tales of Kenzera: ZAU ha dalla sua un animo intimo e personale, che nella rabbia di disperazione del protagonista riesce a entrare in empatia con il giocatore. Per sua stessa ammissione, Abubakar Salim ha cercato un modo di cristallizzare i suoi sentimenti derivanti dalla perdita del padre. A quanto pare in quello sfaccettato dei videogiochi ha trovato la sua chiave di volta.
D'altronde il racconto fa largo uso di linee di dialogo e figure retoriche legate al tema del lutto di una persona cara e a quello della sofferenza a esso connessa. La trama gioca su due linee temporali: la prima a mostrarsi è quella di Zuberi, un ragazzo del 2089 abitante nella regione di Kenzera. Morto il padre, il giovane riceve un libro che rappresenta la sua eredità in un certo senso, riportando le gesta di Zau, un Nganga (un potente sciamano) vissuto nel passato remoto a Kenzera che, a seguito della dipartita del genitore, si accorda con Kalunga, il Dio della Morte, per tentare di riportarlo nel regno dei vivi. Secondo una profezia antica, chiunque dovesse superare le terribili prove dei Tre Grandi Spiriti della natura e ricondurli alla pace, riceverebbe in cambio la possibilità di esaudire il suo desiderio più recondito.
Inizia così il percorso di Zau, che nell'attraversare Kenzera passerà da ambienti rocciosi a foreste, il tutto affrontando entità spiritiche malvagie esterne ed emozioni dolorose interne. Arricchito da un finale toccante e soprattutto impreziosito dall'immaginario culturale bantu, la storia di Tales of Kenzera: ZAU merita di essere vissuta fino ai titoli di coda. Peccato solo che lo spazio destinato a Zuberi sia davvero misero, non avendo Surgent Studios giocato su tale stratagemma di narrazione.
Ada ya mja hunena, muungwana ni kitendo (“gli uomini comuni parlano, gli uomini onorevoli agiscono”)
L'eredità del baba di Zau consiste prima di tutto in due maschere che costituiscono l'ossatura di tutto il gameplay. Si tratta di quella del Sole e quella della Luna. Se la prima è basata sull'utilizzo di due lance, perfetta quindi per il corpo a corpo, la seconda fa affidamento su dei colpi a distanza (soggetti a una barra da ricaricare); non solo, sia l'una che l'altra rafforzano le nostre offensive se usate con i giusti riflessi, rispettivamente l'una per potenziare i danni delle stoccate, l'altra per quelli dei proiettili.
Passando con la sola pressione di un tasto dal primo al secondo artefatto è possibile creare la “danza dello sciamano”, come la chiamano Zau e il suo Virgilio stesso (Kalunga), combinando attacchi ravvicinati o a distanza a seconda del caso. Abbiamo notato un certo sbilanciamento a favore della maschera della Luna, che al netto delle differenze appare più forte e la situazione non cambia troppo pure con le abilità da sbloccare nel corso delle circa 8 ore dell'avventura.
Oltre all'albero delle abilità sono da citare i Doni, degli amuleti da equipaggiare per dei miglioramenti passivi, oltre alla barra dello Spirito che consente sia delle mosse finali, sia di curare Zau. L'idea di legare tanto la salute quanto una possibile mossa fatale alla stessa meccanica aggiunge un pizzico di sfida al gioco, che soprattutto nelle prime fasi richiederà di scegliere saggiamente come utilizzarla.
Come anticipato in apertura, Tales of Kenzera: ZAU è molto più “vania” di “metroid”, nella misura in cui l'esplorazione non porta mai a perdersi in senso profondo alla ricerca di chissà quale parete da distruggere segreta né si lega in maniera forte al ritrovamento di un potenziamento per accedere a un'area dapprima inaccessibile. O meglio, sono elementi presenti, ma gli sviluppatori inglesi hanno preferito concentrarsi sulla componente platform e prova ne sono le azioni in dote a Zau, dal doppio salto allo scatto in aria.
Se l'aspetto da platform è al centro del gameplay, allora bisogna riconoscere una certa goffaggine nelle sue dinamiche. Questa si esplica in particolare durante certi percorsi appositamente creati per testare le capacità del giocatore in questo senso; nulla di grave, ma mancano di raffinatezza e pulizia.
Ihsani huandama imani (“la gentilezza viene prima della fiducia”)
A distinguere davvero Tales of Kenzera: ZAU è la componente puramente artistica. Surgent Studios ha colto alcuni elementi chiave della sua cultura africana di origine e li ha declinati sapientemente in forma di videogioco, regalandoci delle ispirazioni ben poco viste prima di oggi. In questo senso non bisogna dimenticare il codex, che passando dal menù principale consente di avere qualche approfondimento su artefatti e altro della cultura bantu.
Abubakar Salim nelle vesti di Zau e gli altri doppiatori svolgono inoltre un lavoro eccellente nel dare spessore e umanità a ogni personaggio, aumentando in questo modo l'intimità insita nel messaggio del gioco. Di ottima fattura anche il lavoro sulle musiche svolto dalla compositrice Nainita Desai e dal coro Voquality, coadiuvati da strumenti tradizionali africani. Tolte delle animazioni poco fluide, a livello tecnico il gioco non accenna mai a nessun inciampo su PlayStation 5.
Trofeisticamente parlando: Ukitaka cha mvunguni sharti uiname (“se vuoi qualcosa sotto il letto, devi chinarti”)
L'anima metroidvania di Tales of Kenzera: ZAU si nota soprattutto guardando la lista trofei. Questo perché i 5 di bronzo, i 6 d'argento e gli 8 d'oro per arrivare all'agognato Platino chiedono per la maggior parte di completare le richieste secondarie. Parliamo di raccogliere Echi e altro, oltre a completare il codex; considerando che rispetto ad altri esponenti del genere, il titolo targato EA Originals non ha una durata smisurata, i cacciatori troveranno una preda piuttosto semplice in esso.
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