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A Space for the Unbound – Recensione

È magico quando si crea una sinergia tra giocatore e gioco, tra utente e alter ego virtuale. A volte non è obbligatorio avere appiccicata l'etichetta di GDR, se si ha talento in un certo tipo di scrittura e sceneggiatura. Posso infatti dire di essere stata Atma per una decina di ore con A Space for the Unbound, ma in un momento specifico mi è parso di ricevere uno schiaffo leggero dalla mia coscienza – e forse qualche cacciatore di trofei potrà capirmi.



Sto parlando di quando Raya gli (mi) chiede se abbia preso abbastanza tappi, l'oggetto da collezione del gioco e lui le risponde di non credere “che sia così importante”. È uno scambio fugace e semplice quanto efficace per come riesce a bucare la quarta parete ed è solo un assaggio dell'ultima fatica di Mojiken e di Chorus Worldwide Games per PlayStation 4 e PlayStation 5.



Tuffo spaziale



A Space for the Unbound è un'avventura orgogliosamente a trazione narrativa, ragione per cui non cerca lo stesso tipo di utenza media di Devil May Cry, per fare un esempio. Motivo per il quale preferisco esporre ben poco della sua trama, che vede i due studenti delle superiori Atma e la sua ragazza Raya intenzionati a vivere una lista di esperienze mia fatte prima di allora; perché si sa, finito l'ultimo anno di liceo il mondo cambia, ma qui accade davvero.



Non fatevi ingannare dalla cornice scolastica adolescenziale. Il duo deve vedersela tanto con dei problemi come un sistema educativo marcio e delle famiglie a dir poco problematiche, quanto con la bellezza del cielo, una carezza a un animale e dei gatti con delle smanie da conquistatori.



Il messaggio di empatia e di comprensione reciproca nell'affrontare bulli, depressione e altri ostacoli si mescola a elementi soprannaturali in maniera coerente. Il mix è aiutato da una direzione artistica sublime, che si ricorda di fare più caso ai momenti emozionanti che stiamo vivendo come Atma e di lasciarci trasportare meno da delle distrazioni effimere come dei tappi da collezione (che a ogni modo ho raccolto).



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Punta e clicca su empatia



Sgattaiolati via dalla scuola, Atma e Raya si lasciano trasportare dall'adrenalina dell'atto ribelle lungo l'esplorazione della loro cittadina indonesiana, regalandoci un primo atto di apparente leggerezza tra un film al cinema e la cura per un gatto randagio. È anche un momento di efficace tutorial nascosto delle meccaniche inscrivibili ai punta e clicca.



Si passa da un punto A a uno B, scoprendo che a questo ultimo serve uno strumento per il quale è necessario tornare ad A e così via. Questo è però solo il primo mattone dell'impalcatura di A Space for Unbound. Qui non trovano spazio gli accostamenti folli tra oggetti di Monkey Island per esempio, perché la trama e il gameplay con sé ruotano su un binario ben diverso.



Parlavo di empatia in riferimento ai tanti personaggi che s'incontrano per le strade, lavoratori, anziani, bulli, motociclisti, mogli devote, venditori di sigari. In frangenti dettati dagli autori, quindi purtroppo non in maniera libera, è possibile entrare nella mente di uno o di un altro per aiutarlo ora a dormire sonni tranquilli, ora a sconfiggere un boss micidiale, il proprio datore di lavoro.



Si tratta di un letterale tuffo nei cuori e nelle menti, lo Spacedive, che ha offerto a Mojiken la possibilità di sbizzarrirsi in ambito artistico (peccato non anche in termini di level design). Si fugge infatti dai confini urbani, calandosi ora in un reame di gattini, ora nella rappresentazione di un uomo assonnato. È questa la chiave di volta che differenzia il gioco da altre esperienze punta e clicca in termini di gameplay, legandosi coerentemente alla trama.



Vista la sua linearità, il loop di gioco rischia di perdere mordente nel corso dell'avventura, quando sopraggiunge un sistema da picchiaduro a scorrimento vecchia scuola (è proprio il caso di dirlo): si ha però la sensazione di un'aggiunta che stoni con quanto vissuto fino a quel momento, come una forma sferica tale da non entrare in un contorno quadrato se non a incastro manuale. Il rimando a un certo passato dei videogiochi è chiaro, tuttavia si viene lo spirito filosofico di A Space for Unbound.



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Con un occhio nuovo



Avendo per forza di cose un punto di vista occidentale sul mondo, scoprire un gusto diverso e geograficamente lontano quanto poco rappresentato nei videogiochi è stata una piacevole scoperta. La scuola, poi la cittadina e i paesaggi indonesiani rivelano un tocco autobiografico da parte degli autori e permettono di avvicinarci a loro, sostenuti da una buona direzione artistica in formato di pixel.



Allo stesso modo, le musiche autoctone donano un sapore autentico al gioco, accompagnando Atma e il giocatore lungo la loro avventura. Data la mole centrale dei dialoghi, dispiace non trovare almeno i sottotitoli in lingua italiana, ma bisogna tenere a mente che A Space for the Unbound nasce come progetto indipendente; il consiglio è di armarvi di vocabolario, fisico o virtuale che sia per non lasciarvi perdere questa esperienza, al netto di testi di semplice comprensione.



Trofeisticamente parlando: gatto accarezzato, mezzo avvisato



Con 7 coppe di bronzo, 12 d'argento, 6 d'oro e l'immancabile Platino, i venticinque trofei di A Space for the Unbound non rappresentano una sfida particolarmente ostica per chi apprezzerà la sua formula fino ai titoli di coda. Basterà compiere delle azioni specifiche mentre completate i sei capitoli di cui è composto, ma per visionare l'elenco completo vi rimandiamo al forum di PlayStation Bit.




L'articolo A Space for the Unbound – Recensione proviene da PlayStationBit 5.0.

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26 aprile 2023 alle 17:10